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Mannozzi (Andaf): «Esg cruciali per i Cfo»

11 Aprile 2018Penta Group

Il presidente dell’Associazione che rappresenta i Cfo italiani, parla di «enormi passi avanti» in termini di integrazione degli Esg in azienda. Fattori che «non si possono non gestire» per tradurli in valore per l’impresa. Ma «c’è ancora molto da costruire»

 

L’integrazione degli Esg nella finanza delle aziende, ha fatto «i passi avanti davvero enormi». Certo, un ruolo cruciale lo gioca ancora l’obbligo di compliance e «c’è ancora molto da fare in termini di consapevolezza». Ma il mercato inizia a riconoscere gli sforzi delle imprese. E anche i fondi pensione italiani «dimostrano interesse» verso l’occasione Esg. A parlare è Roberto Mannozzi, Direttore centrale amministrazione, bilancio e fiscale del Gruppo FS Italiane, società che sta spingendo molto sul legame tra Csr e finanza Sri (vedi l’emissione del green bond). Mannozzi è anche presidente di Andaf, l’associazione dei Cfo italiani, che quest’anno è entrata nel progetto Integrated Governance Index in qualità di partner tecnico, a testimonianza della capacità di IGI di valorizzare gli aspetti finanziari della Csr. In particolare, Andaf ha contribuito alla creazione della parte di indagine straordinaria del questionario IGI 2018, quella riservata ai rapporti delle aziende con gli investitori Sri.

Perché sviluppare un’indagine sugli Esg in azienda?

Occorre partire dal presupposto che il Cfo dovrà essere sempre più punto di riferimento in azienda per la gestione delle informazioni che riguardano la creazione di valore e le performance di business, e porsi internamente come la figura capace di tradurre tali informazioni in elementi sintetici e affidabili per le operations, per il vertice e per il mercato. E questi aspetti di sostenibilità sono sempre più un elemento di attenzione, su cui il Cfo deve riuscire ad offrire una lettura efficace sia all’interno dell’azienda sia verso l’esterno.

Si tratta dunque di attrezzarsi per affrontare una nuova frontiera del mercato?

Certo, è una frontiera nuova che inizia ad avere riferimenti normativi, come il decreto legislativo 254 del 2016 che ha portato le aziende quotate e gli Eip (enti di interesse pubblico) di maggiori dimensioni a rendicontare dal 2017 le cosiddette informazioni non finanziarie, che sarebbe più opportuno definire informazioni pre-finanziarie, perché riguardano elementi che, in prospettiva, si legano alle performance aziendali, ad esempio in termini di valore degli investimenti. Perciò, è evidente che il Cfo non possa non essere interessato e creare all’interno dell’azienda meccanismi di gestione, presidio e analisi di questi processi, per una loro traduzione in valore.

Quanto pesa la compliance e quanto la consapevolezza?

Oggi direi che ancora prevale l’attenzione alla compliance sulla consapevolezza. L’obiettivo principale è ancora quello di rispondere alla normativa e sotto la punta dell’iceberg di pura risposta all’adempimento, c’è ancora molto da costruire.

È comunque un punto di partenza.

Senz’altro, anche perché il tema della compliance rientra oggi in modo rilevante tra gli elementi che influiscono sulla crescita della sensibilità verso la gestione del rischio nelle imprese. Ci vorrebbe un passo, a mio avviso fattibile, all’interno delle aziende, che è quello di creare un’integrazione forte delle differenti aree che si occupano di controllo interno (dirigente preposto ex lege 262; risk manager; responsabili dell’anticorruzione; organismo di vigilanza ecc). Sicuramente, un percorso di compliance integrata sarebbe un passo di crescita culturale verso l’integrated thinking, elemento fondamentale per sviluppare una “cultura sostenibile” a 360 gradi in azienda.

Come percepisce il livello e la diffusione di questa integrazione?

Il tema dell’integrazione nelle società/gruppi verso la sostenibilità riguarda ancora principalmente le grandi aziende, per esempio nei settori dell’energy o delle tlc, dove questi aspetti si affrontano da tempo, e che rappresentano oggi dei veri e propri benchmark. Poi ci sono le aziende di medie dimensioni, dove emergono alcuni casi virtuosi. Ma, se scendiamo alle dimensioni medie e medio-piccole c’è molto da lavorare. Occorre ancora un forte e chiaro commitment del vertice.

Quanto è necessario un approccio dall’alto?

Al di là del ruolo del Cfo, si avverte la necessità di una vera e propria maturazione dell’azienda, a sua volta legata, come dicevo, al commitment del vertice (inteso come presidente e Ceo), ma anche del board. Se il cda, attraverso la guida di presidente e Ceo, ha la capacità di essere sempre più vicino al business con questo obiettivo chiaro, allora le indicazioni al management diventano sostanziali ed efficaci.

Quanto è compresa la rilevanza dei fattori Esg?

Vale lo stesso discorso appena fatto. C’è una forte differenza a seconda del livello dimensionale dell’azienda. Ma si comincia a rilevare l’effetto grimaldello della evoluzione normativa (attraverso, ad esempio, il già citato d. lgs. 254). Il continuo discutere di questi temi alimenta la consapevolezza che il risk management, in cui si sta evidenziando sempre maggiormente il peso della sostenibilità, deve diventare elemento fondamentale del governo dell’azienda, per evitare in particolare problemi sul fronte reputazionale (si veda, ad esempio, il caso di questi giorni riguardante Facebook). Nelle aziende, anche nelle pmi, deve subentrare la consapevolezza che il rischio non è più una cosa da nascondere, bensì è il “rovescio della medaglia” del fare business, cui si accompagna naturalmente.

Come si alimenta questa consapevolezza?

Con la conoscenza delle “buone pratiche” e dei vantaggi che l’operare con attenzione alla sostenibilità produce. Il green bond emesso da Fs dimostra che sui mercati finanziari c’è forte attenzione e appetibilità. L’emissione ha avuto per la società un costo inferiore a quelle precedenti, segno che sono stati riconosciuti e valorizzati dagli investitori gli sforzi di sostenibilità fatti dall’azienda. E poi, per creare consapevolezza, è necessario spingere sulla formazione. Come Andaf stiamo contribuendo con Aiaf al lancio da parte dell’Università Bicocca di un master per esperti in finanza sostenibile.

Cosa ne pensa dell’engagement Esg?

Può essere utile alla maturazione di cui stiamo parlando. Tutte le iniziative che premiano l’azienda impegnata e credibile (un sistema di compliance integrata che consente costi e rischi più bassi; un green bond che ottiene rendimenti vincenti) vanno in questa direzione.

E sul fronte della controparte, che ruolo hanno gli investitori?

Vedrei bene iniziative di incontro tra aziende e investitori Sri. Da parte del mercato, c’è già molta attenzione sulla capacità dell’azienda di rispondere su queste tematiche. Occorre però trovare standard e modelli che consentano affidabilità e diano consuetudine al processo. Questa è una frontiera da completare. Su cui, come Andaf, stiamo discutendo con gli altri player interessati, certificatori, analisti, società di rating.

E gli investitori italiani?

Il riscontro da parte degli investitori italiani sta crescendo, ma l’interesse della finanza è ancora guidato dai fondi internazionali, grandi realtà che “parlano le lingue del mondo”.

Ma potrebbe essere un’occasione di cambiamento, ad esempio, per i fondi pensione italiani…

Senz’altro. I fondi pensioni hanno cominciato a mostrare il loro interesse. Per esempio, il fondo pensione delle ferrovie, Eurofer, si è già mosso verso una asset allocation attenta alla presenza di titoli “sostenibili”.

Cosa potrebbe aiutare lo spostamento degli istituzionali italiani?

Un rating dedicato potrebbe essere certamente di grande aiuto.

A che punto siamo in termine di integrazione degli Esg nella finanza aziendale?

Questo è un momento cruciale per seminare. Dobbiamo accelerare, ma ci sono i presupposti per cambiare. Se penso a dove eravamo solo 3-4 anni fa, i passi avanti fatti sono davvero enormi.

 

Fonte: articolo ripreso integralmente da ETicaNews, dove è stato pubblicato in data 11 aprile 2018

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